Il “caso Ferragni” e le resistenze a nuove forme di comunicazione
Le ultime settimane hanno visto lo sviluppo di un dibattito pervasivo piuttosto interessante, non tanto per il tema al centro dell’attenzione in sé, ma in generale perché consente di analizzare un fenomeno che negli ultimi anni ha visto una crescita costante e che oggi viene utilizzato non solo da grandi brand di diverse categorie merceologiche (abbigliamento, make up, ma anche alimentare, automotive, benessere, fitness) ma di recente anche da Enti pubblici per sostenere il marketing territoriale, per arrivare alla fruizione di luoghi e contenuti culturali. Parliamo ovviamente dell’Influencer Marketing.
L’Influencer Marketing che “fa scalpore”
Il “caso” di cui tanto si è dibattuto, inutile dirlo, è stato il servizio per Vogue Hong Kong con testimonial Chiara Ferragni, con le fotografie scattate all’interno del Museo degli Uffici di Firenze che hanno rapidamente fatto il giro del mondo, condivise sui profili social della Ferragni, una delle Influencer pià importanti al mondo (conta 20,5 milioni di follower), che ha anche invitato a visitare gli Uffizi.
Un indubitabile successo di comunicazione e marketing
Un’operazione di marketing che per il museo è stata sicuramente azzeccatissima: non ha comportato alcuna spesa per l’istituzione, anzi come ha spiegato il direttore Eike Schmidt è stato l’editore di Vogue a pagare il Museo per ambientare il servizio. Nei giorni successivi al servizio, gli ingressi al Museo hanno fatto segnare un incremento arrivato a un roboante + 27% di visitatori, con una percentuale ancora più alta se si segmentano le fasce di età e si individua il target dei giovani e giovanissimi (+3600 ingressi di under 25 nel weekend successivo ai post dell’infuencer). Le foto della Ferragni con le immagini agli Uffizi hanno ottenuto milioni di apprezzamenti e gli Uffizi sono stati per alcuni giorni trend topic su Twitter, Instagram e nelle ricerche Google.
Grandi polemiche: analizziamo i motivi
Un’operazione win-win verrebbe da dire, mentre invece ha scatenato una ridda di polemiche, e proprio queste offrono alcuni spunti di riflessione sullo sviluppo della comunicazione in questi ultimi anni e le resistenze che incontra, non sempre fondate. A fronte di chi ha apprezzato il ruolo della Ferragni come testimonial della cultura italiana nel mondo, critiche anche dure sono arrivate da studiosi, appassionati e critici d’arte che hanno bollato l’evento come una “caduta di stile per un’istituzione dell’arte italiana come la Galleria degli Uffizi”. A difendere l’Influencer è intervenuto anche il Sindaco di Firenze Nardella, oltre a diversi esperti del mondo del marketing, che hanno sottolineato l’evidente avvicinamento tra gli Uffizi e i giovani attraverso l’intercessione della Ferragni e l’uso dei linguaggi a loro più vicini: i social.
Un vizio molto italiano: l’atteggiamento da “tifosi”
Una divisione tra tifoseria pro o contro, che peraltro la Ferragni, a seguito del suo grande successo internazionale, ha suscitato già da anni al di là di quest’ultimo caso. Ma quello che appare interessante è che la polemica ha coinvolto anche i canali e gli strumenti con i quali è stato divulgato il messaggio che ha portato a un innegabile successo degli Uffizi, quasi che i social, i post fotografici e gli Influencer (prima della Ferragni ci sono stati casi anche in altre Gallerie e Musei esteri che hanno condotto azioni di Influencer marketing, si pensi al video di Jay Z e Beyoncè di qualche anno fa all’interno del Louvre) non fossero “adatti” a pilastri della cultura.
Tutto ciò nonostante il fatto che l’Italia, con oltre 4mila musei, 6mila aree archeologiche, 85mila chiese soggette a tutela, 40mila dimore storiche e 54 siti Unesco, fatichi a promuovere, divulgare e, conseguentemente, mantenere questo enorme patrimonio.
Cultura “alta” vs Cultura “bassa”: divisione che si riflette sulla comunicazione
Spesso questo atteggiamento è dovuto ad una percezione settoriale e anche in un certo senso “snob” dell’arte e della cultura, per cui studiosi ed esperti tendono ad approvarne alcuni settori e respingerne altri più recenti e trasversali, che guarda caso sono però i più apprezzati e diffusi tra i giovani: moda, video-arte, street art, la musica pop, l’arte digitale.
Una storica, antica divisione tra “cultura alta” e “cultura bassa”, in cui a volte la migrazione di generi e forme d’arte dalla seconda alla prima sezione è possibile, ma solo dopo anni di sedimentazione e radicamento.
La stessa cosa potrebbe essere riscontrabile nel mondo della comunicazione, per cui verso certi temi vanno bene i canali tradizionali (articoli di quotidiani e periodici, servizi televisivi, anche produzioni di alto livello che possono approdare ai circuiti cinematografici com’è stato di recente per film sui Musei Vaticani e anche gli stessi Uffizi) mentre invece quelli più moderni come i social e l’Influencer marketing non vanno bene.
Con il rischio di tagliare fuori fasce consistenti di possibili fruitori, quelli più giovani in primis. Una visione alquanto miope, anche perché i dati dimostrano che il successo e il seguito degli Influencer negli ultimi anni non ha fatto che salire.
Influencer: un trend in continua crescita negli ultimi anni
Ma chi sono gli Influencer? Sono opinion leader, trend setter dotati di carisma, autorevolezza, competenza, capacità di coinvolgimento e persuasione. Non sono quindi persone “baciate” da una fortuna immeritata o abbindolatori delle masse come qualcuno ancora tende a identificarli: dietro ogni Influencer che arrivi a livelli di riconoscibilità elevata ci sono preparazione e capacità.
Ha fatto scalpore, e strappato a tutti un mezzo sorriso qualche tempo fa l’istituzione di un corso di studi universitari in Italia per diventare Influencer. Forse una scelta davvero un po’ eccessiva, ma non comprendere che dietro queste figure c’è un bagaglio di competenze importanti porta a non comprendere per nulla il fenomeno.
Per arrivare a guadagnare diffondendo e amplificando messaggi promozionali per conto di aziende e brand, un Influencer infatti deve fare una lunga “scalata” per costruirsi una solida reputazione sul web.
La Brand Awareness conta anche (e forse soprattutto) per loro
Come ogni tipo di “brand awareness”, anche la reputazione di un Influencer si basa sulla credibilità, per cui deve conoscere profondamente ed anzi essere il primo convinto sostenitore dei prodotti che promuove presso i propri follower: una scelta sbagliata in questo senso, promuovere un prodotto scadente o poco convincente, può vanificare mesi spesi a costruire tale credibilità.
Del resto già molti anni fa lo stesso Mike Bongiorno, un primo maestro di marketing che introdusse nelle proprie trasmissioni l’angolo della “televendita”, spiegava che prima di accettare chiedeva di provare ogni prodotto per diverse settimane, e solo se ne era convinto accettava la sponsorizzazione.
Il segreto del successo: essere vicini ai loro follower
Gli Influencer sono blogger, videomaker, fotografi, content creators, YouTubers, Instagrammers per i quali è essenziale l’interazione costante, quotidiana con i follower: questo senso di “vicinanza” a quella che viene vista come una “star”, con cui si può avere un contatto quasi diretto, una risposta ad una domanda posta attraverso Instagram, a un commento su Facebook, è probabilmente la prima chiave del successo di questa tipologia di comunicazione.
Se il mondo della cultura pone ancora qualche resistenza, i grandi brand (ma anche quelli di media dimensione, fino a piccoli produttori che cercano di farsi conoscere) hanno capito perfettamente questo potere: sono moltissime le compagnie e le campagne che sfruttano questo tipo di leva per divulgare nuovi prodotti o farsi conoscere.
E i risultati sono immediati: la Ferragni è l’esempio principe e tanti altri Influencer sono ad anni luce di distanza, ma nel suo caso, se indossa un nuovo paio di occhiali, un abito che all’apparenza potrebbe anche sembrare economico (è considerata un’ambasciatrice dello “street style”, che spesso alterna a mise assolutamente haute couture, o mischiando con grande attenzione i due estremi) anche senza esplicitarne il brand, in pochi minuti frotte di follower iniziano a cercarli per acquistarli.
Evitare i pregiudizi: sarebbero un errore enorme
Una comunicazione nuova, che come tale quindi riscontra qualche resistenza, ma chi cerca di sminuirla, chi preconizza una sua fine entro breve tempo, non solo rischia di perdere grandi occasioni, ma si pone su un piedistallo, anzi un podio da cui proclama la supremazia della comunicazione tradizionale, che non solo non fa arrivare la sua voce a una fascia di importanza strategica dell’audience, ma è ormai del tutto superato.