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Cosa l’emergenza coronavirus ci può insegnare sulla gestione comunicativa delle crisi

La comunicazione nei momenti di crisi è un tema estremamente delicato e importante. Gli esempi che tutti hanno potuto cogliere in questo periodo, relativi all’emergenza coronavirus, sono estremamente significativi e possono porre le basi per attribuire una maggiore attenzione alle ricadute e alla percezione dei messaggi che vengono diffusi, non soltanto per gli Enti locali, i Governi e le fonti legate alla sanità, ma anche per le imprese e le aziende. Non solo in questa fase di crisi internazionale, ma anche, una volta che questo evento inizierà a scemare, nel corso dei “normali” momenti critici che ogni impresa si trova ad attraversare nel corso della propria storia.

Comunicazione, reazioni ed “effetto farfalla”

Il tema dell’epidemia di coronavirus ha evidenziato in modo anche drammatico quanto la comunicazione possa ingenerare quello che in matematica e fisica si potrebbe definire un incontrollabile “effetto farfalla” (da una citazione che semplifica un concetto espresso da Alan Turing, e che afferma che il battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo). Ogni piccola variazione nelle condizioni iniziali produce grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. Analizzando la diffusione delle notizie sulla presenza del virus Covid-19, in pochissime ore si è passati dall’annuncio del primo caso, il manager 38enne di Codogno, ai fenomeni di accaparramento incontrollato nei supermercati in tutto il nord Italia, anche in quelle regioni e province in cui non si erano verificati casi di coronavirus. Un’ondata di paura tra la popolazione ha probabilmente travalicato anche le più che giustificate precauzioni necessarie per arginare il contagio. Ad alimentarla sono stati anche diversi fattori insiti alla comunicazione stessa.
A fianco dei canali comunicativi istituzionali e ufficiali (Presidenza del Consiglio, Ministero della Salute, Regioni coinvolte dal contagio) si sono occupati in modo estremamente massiccio, quasi monotematico, dell’epidemia, com’era ovvio, anche gli organi di informazione. Tra questi, a fianco delle testate maggiormente note e, seppur con diversi tagli dati alle notizie, comunque affidabili, sono da annoverare anche canali meno attendibili, meno approfonditi e dediti alla ricerca del sensazionalismo, spinti dal fatto che la paura è un motore fondamentale dei comportamenti umani: l’idea che ci siano cose e aspetti “non detti” di una situazione critica, fa molta presa specialmente in chi ha strumenti limitati per riconoscere l’attendibilità di una fonte, e spinge a dare attenzione
anche a notizie che si rivelano poi fake news, e che a loro volta contribuiscono a diffondere ulteriore panico. In più si innesca il meccanismo di condivisione attraverso i social e i servizi di messaggistica come Whatsapp, mai come in questi giorni dedicati pressoché a un solo argomento, arrivando a rappresentare quasi una seconda “epidemia”.
Questa situazione dovrebbe porre le basi, magari una volta superato l’apice della crisi, per comprendere quanto le scelte di ognuno di noi oggi, nell’era dei media digitali, abbiano un impatto sia a livello materiale che nel contesto sociale. Ogni informazione che condividiamo ha ricadute nella vita delle persone che vengono esposte a quel messaggio.
Sarebbe quindi fondamentale attivare precauzioni quali porre maggiore attenzione all’uso dei social network, circoscrivere le fonti di informazione a quelle ufficiali e condividere solo contenuti che provengono da fonti attendibili. Nel caso di informazioni dubbie, evitare la condivisione.

L’importanza della comunicazione anche da parte delle imprese

Quelle appena ricordate sono indicazioni allo stesso tempo semplici ma molto difficili da seguire. Dobbiamo peraltro considerare che è la prima volta che il nostro Paese si confronta duramente con una situazione emergenziale di grado così elevato. Ma è importante capire che oltre ai singoli individui, anche le aziende e le loro modalità comunicative hanno un ruolo di grandissimo rilievo. Il coronavirus si è diffuso a partire dal cuore produttivo dell’Italia (la Lombardia da sola rappresenta circa il 20% del PIL nazionale). Le ricadute economiche dell’epidemia potrebbero essere quelle che si trascineranno per un periodo più lungo: attualmente gli analisti economico finanziari sostengono che gli effetti reali sull’economia siano limitati, ma i mercati amplificano le oscillazioni portando al rischio che fattori prima di tutto psicologici portino alla recessione.
Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, presidente di Storyfactory, in merito alle indicazioni per le imprese, in particolare quelle delle regioni colpite, fa presente che

in questo momento ci vogliono comunicazioni chiare, anche se siamo in un momento fuori dall’ordinario perché mai in tempi recenti in Italia si era arrivati a chiudere Scuole, Atenei, cinema, esercizi pubblici. E mai le aziende avevano attivato smartworking di massa o comunicato ai fornitori di non accedere ai propri buildings. Mai come oggi le organizzazioni e le aziende sono un punto di riferimento. E possono essere – in questa grave e preoccupante emergenza – un centro luminoso di ascolto, orientamento, motivazione, eduzione emotiva, diplomazia aziendale (o corporate diplomacy) intesa come gestione delle diverse anime interne

Essere pronti alla crisis management

Da anni il tema della crisis management è tenuto in forte considerazione dalle aziende di medie e grandi dimensioni, nella consapevolezza che la gestione di una crisi a livello di comunicazione avverrà di sicuro, prima o poi, nell’ambito di ogni storia imprenditoriale. Per definizione un Ente, una organizzazione e un’impresa vanno in crisi quando subiscono le conseguenze di un evento o di un attacco, imprevedibile o semplicemente imprevisto, che crea gravi problemi: il caso Covid-19 è la “tempesta perfetta” di questi fattori. La comunicazione di crisi è quell’area dell’attività di comunicazione il cui obiettivo primario è la gestione e il controllo degli effetti di una situazione d’emergenza sull’organizzazione e sui suoi rapporti con l’esterno.
Un buon piano è quello che permette all’organizzazione di far arrivare messaggi chiari e trasparenti attraverso i canali più diretti e i linguaggi più appropriati. Le indicazioni per gestire al meglio queste fasi di comunicazione suggeriscono che i “segnali deboli” vanno analizzati e mai sottovalutati; che se si riesce a far passare la percezione che si sa come comunicare la crisi, si sappia anche come gestirla. Gli errori da evitare invece sono perdere il controllo delle emozioni e cercare di individuare un capro espiatorio per sottrarsi alle responsabilità.
Valgono poi le leggi da sempre alla base di una buona comunicazione: il messaggio deve essere presentato in forma semplice; le parole usate devono avere lo stesso significato tanto per chi le trasmette quanto per chi le
riceve; gli argomenti complessi devono essere semplificati.
Indicazioni e norme che sono alla base di testi sulla crisis management che oggi sono diventati pilastri per gli esperti del settore, ma che, è abbastanza evidente, in questo periodo non sono state sempre tenute nella dovuta considerazione: sarà importante ricordarlo e trarne consigli per il futuro, per la gestione di crisi possibilmente anche meno impattanti di quella legata al coronavirus.

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